La rivoluzione di Obama

venerdì 27 febbraio 2009 → 22:40 in Manhattan e dintorni

Le prime grandi scelte di Barack Obama alimentano le speranze che aveva suscitato. Presentata una finanziaria che cancella in un giorno quasi 30 anni di “reganismo”.  Più tasse ai ricchi per dare l’assistenza sanitaria ai più poveri e redistribuzione del reddito – una vera rivoluzione.

ObamaOggi ho letto con molta attenzione l’articolo di Vittorio Zucconi sulla finanziaria presentata da Barack Obama.
Mi aspettavo molto e molto è arrivato. Quando è stato eletto avevamo celebrato più l’uscita di scena di Bush che non la vittoria di Obama, io in particolare avevo chiesto a tutti di aspettare le sue prime mosse politiche prima di accogliere con favore l’elezione del nuovo “imperatore”.
Oggi dopo tanto pessimismo mi sono rincuorato. Che piacere leggere dell’enorme finanziaria americana e della sua impostazione. Una finanziaria che parla di redistribuzione del reddito, che non toglie ai poveri per dare ai ricchi ma allarga la copertura sanitaria alle fasce più deboli e colpisce i redditi più alti. Una finanziaria che ribalta completamente l’idea reganiana di liberismo selvaggio e totale, tornando a parlare di spesa pubblica.
Certo come dice Zucconi è “una rivoluzione imposta dal naufragio spaventoso del mercato finanziario”, ma che coraggio a farla! Qui da noi la sinistra si è suicidata per non averla fatta.
Si parla di ” redistribuzione della ricchezza nazionale dal portafoglio di chi ha di più alle tasche di chi non ha niente”.
Chi come me aveva temuto o come qualcun altro aveva sperato che Obama fosse soltanto una novità ricca di simboli e povera di sostanza, e non avrebbe fatto davvero niente “di sinistra”, oggi come dice Zucconi “legge con sbalordimento un budget, una finanziaria diremmo noi, che chiude un’era della storia americana cominciata una generazione fa con la rivoluzione reaganiana e ne apre un’altra, non per “far piangere i ricchi sulle loro barche”, ma per raddrizzare la barca nazionale che sbanda e salvare, dopo la bufera, anche i ricchi, motore e carburante indispensabile di una economia equa e sviluppata. “
Una sola cifra per capire la portata della “rivoluzione:
318 miliardi di nuove entrate fiscali imposte al reddito di chi guadagna oltre 250 mila dollari l’anno per creare un fondo di riserva per la futura copertura sanitaria universale che ammonta a 634 miliardi.
La scelta di Obama è stata radicale. “Non giocare al Robin Hood, ma abbattere per ricostruire. “Ci sono momenti nei quali ci si può limitare a una mano di bianco, altri, come questo, nel quale di devono rifare le fondamenta”. La sostanza del budget obamiano è nel capovolgimento di una cultura politica che dall’elezione di Ronald Reagan nel 1980, e ancor prima, nelle periferie degli stati, vedeva nel governo centrale non la soluzione dei problemi, ma “il” problema. E aveva postulato il dogma del togliere ai poveri per dare ai ricchi, nella speranza che dal boccale traboccante sgocciolasse verso il basso ricchezza per dissetare anche gli altri”.
Da anni aspettavamo che accadesse e finalmente è successo. Per anni abbiamo chiesto alla “sinistra” italiana di combattere il reganismo e la globalizzazione, che ne è stata la naturale evoluzione. Non lo ha fatto, neanche quando era al Governo, e ne stiamo tutti pagando le terribili conseguenze.
La speranza rinasce là dove l’avevamo perduta, strano che l’americano “Veltroni” non lo avesse capito, come vedi caro Valter “si può fare” !

Un commento a “La rivoluzione di Obama”

flash scrive:

Sono, abbastanza, soddisfatto da quanto sostiene, anche attingendo, il buon edu ma, aggiungo, che pensare che un “nero” fosse chiamato (e non i Clinton) a ricoprire un incarico così potente senza poi realizzare un cambiamento anche ideologico era da negazionisti duri e puri e quindi inutili. Si potrebbe aggiungere che già nei suoi discorsi di insediamento il riferimento alla cultura dei Kennedy era forte e, dunque, non tutto è poi così nuovo e, ancora, era anche corretto chi festeggiava ed ha festeggiato alla cacciata della politica dei Bush e non tanto dell’uomo ancora molto forte nelle lobby americane. Un nero se vuole parlare innanzitutto alla sua gente non può limitarsi alla denuncia continua sulla segregazione civile e politica ed economica patita ancora oggi dalla stragrande maggioranza dei non bianchi; anche lì il vero cambiamento è nelle risposte ad alcuni bisogni sempre negati quali la sanità garantita, il salvataggio dei mutui, gli aiuti alle grandi fabbriche ai sussidi allo studio e via così perchè queste sono le risposte che, specialmente il popolo dei disagiati a cui aggiungiamo la classe media, voleva. Compreso l’annuncio del ritiro dall’Iraq. E’ per queste aspettative che io ci credevo e farne un esempio per la nostra “sinistra” è non solo fuori luogo ma eccessivamente demagogico. L’America cambia? Spero che ascolti il suo popolo che, indubbiamente, è stato un popolo di grandi valori e che ha saputo lottare per questo, al contrario, troppo spesso, dei suoi governanti. Ora spero che l’espressione politica americana coincida con quella del suo popolo. Ma dire che noi saremmo capaci di amare, poi, questa realtà……mi sembra fuori luogo. In Iraq rimangono e se ne andranno solo se il governo sarà quello che diranno loro, così come in tutti gli altri teatri dove sono impegnati e dove, forse ma speriamo di no, faranno valere la loro forza. Certo è che l’impegno di far vedere i muscoli dopo aver esaurito le possibilità del dialogo mi sembra non solo accettabile ma pienamente condivisibile da chi crede che “il forte” è tale solo se dotato di intelligenza e pazienza. Ora è il momento difficile dello schieramento delle idee e si è già appoggiato al popolo nella sua battaglia di convincimento alle “lobby” perchè non facciano muro ed accolgano le scelte di redistribuzione come un’opportunità e, credo, che questo è quello che accadrà anche se i sorrisi di circostanza nasconderanno lava bollente alla ricerca di un cratere da dove poter tornare ad oscurare il cielo.

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