Nigeria – Oro nero e fondi neri.

venerdì 10 ottobre 2008 → 13:04 in Nigeria

Un mega-impianto in Nigeria. Quattro multinazionali impegnate. Mazzette per 182 milioni di dollari. Dagli USA parte un’inchiesta. Che chiama in causa l’ENI.

La multinazionale Halliburton che ha confessato le maxitangenti per il gas nigeriano è da anni al centro di polemiche politiche e indagini amministrative e giudiziarie per i suoi rapporti privilegiati con l’amministrazione Bush. Dal 1995 al 2000 il top manager del colosso privato era Dick Cheney, che ha lasciato il posto per diventare vicepresidente degli Stati Uniti. Sotto Bush e Cheney la Halliburton ha ottenuto appalti per 20 Miliardi di dollari.

L’inchiesta che vi propongo aveva trovato ampio spazio nella stampa internazionale e sui quotidiani e media nigeriani. Questa settimana in una bella inchiesta pubblicata dall’Espresso spunta anche l’ENI.
L’Espresso: di Paolo Biondani e Stefania Maurizi
Petrolio e gas insanguinati come i diamanti. È l’ultima cartolina dell’orrore in arrivo dall’Africa: potentissime multinazionali che si spartiscono le ricchezze energetiche di uno degli stati più poveri e più violenti del mondo. Sembra la classica trama terzomondista del capitalismo predatore che affama gli ultimi del pianeta. Invece è realtà storica e giudiziaria. Un’inchiesta internazionale ha obbligato un colosso dell’industria petrolifera statunitense a vuotare il sacco su dieci anni di corruzioni. Un fiume di dollari – almeno 182 milioni – pagati a politici e burocrati del regime nigeriano in cambio di maxi appalti per oltre 6 miliardi. La multinazionale incriminata negli Usa è la Halliburton, ma le confessioni raccolte dai pm texani chiamano in causa anche l’Eni. E ora la Procura di Milano indaga per il reato di corruzione internazionale.

L’affare al centro dello scandalo è l’enorme complesso di impianti per l’estrazione e trasporto di gas naturale liquefatto a Bonny Island, in Nigeria. È la zona insanguinata da un decennale conflitto sempre più feroce tra l’esercito governativo e i guerriglieri del Mend, il Movimento per l’emanicipazione del delta del Niger, la formazione armata che dichiara di lottare contro il saccheggio delle risorse naturali e la devastazione dell’ambiente. Un’escalation di attentati, sabotaggi, sequestri e violenze che i militari africani reprimono con il pugno di ferro, tra civili in fuga, villaggi rasi al suolo e migliaia di vittime.

I sei mega-impianti (in gergo ‘treni’) per lo sfruttamento del gigantesco giacimento di gas naturale sono stati costruiti da un consorzio internazionale, Tskj, che prende il nome dalle iniziali delle quattro industrie che ne controllano il 25 per cento ciascuna: la francese Technip, la Snamprogetti dell’Eni, la texana Kbr (controllata dalla Halliburton) e la giapponese Jgc. Il 3 settembre scorso Albert Jackson Stanley, l’ex numero uno della Kbr, ha patteggiato con la procura federale di Houston l’accusa di aver manovrato, dal 1995 al 2004, due grandi flussi di tangenti: 132 milioni di dollari versati a “rappresentanti di vertice del governo nigeriano” e altri 50 a “tecnici e burocrati di livello inferiore”. ‘L’espresso’ ha ottenuto copia degli atti dell’inchiesta americana che ricostruiscono il vortice dei pagamenti illeciti ai politici nigeriani e disegnano un intrigo internazionale di top manager, società off-shore, avvocati d’affari, finte consulenze e conti svizzeri.

Le mazzette sono state pagate da un’apposita società mista (Lng Servicios) creata dalle quattro multinazionali nel paradiso fiscale portoghese di Madeira. È proprio Stanley ad aver confessato come funzionava il grande ingranaggio della corruzione globale.

Negli Stati Uniti le sue rivelazioni stanno scatenando una tempesta politica: Stanley infatti fu nominato top manager della Kbr, nel 1998, dall’allora numero uno della Halliburton, Dick Cheney, che dal 2000 è diventato il vicepresidente degli Stati Uniti. Cheney non risulta personalmente indagato. Ma la valanga di soldi versati dalla sua azienda a un regime dispotico e corrotto è fonte di grave imbarazzo per il falco dell’amministrazione Bush, che propagandò la guerra in Iraq in nome della democrazia. Il suo manager Stanley ha ammesso di aver corrotto i politici-chiave dei tre governi che si sono succeduti in Nigeria dal ’95 al 2004, insieme a decine di funzionari di partito, tecnici del ministero del petrolio e burocrati dell’ente statale che controlla le risorse energetiche. Dai documenti americani risulta che “tra il novembre ’94 e il dicembre ’95 Stanley e altri membri del consorzio Tskj decisero che era necessario pagare tangenti al governo nigeriano usando consulenze fittizie per mascherare le uscite”. La cabina di regia della corruzione, secondo l’accusa, era il Comitato direttivo del consorzio internazionale, dove “ogni socio aveva un suo rappresentante”.

Il business miliardario del gas liquefatto si apre alle quattro imprese occidentali quando la Nigeria è ancora dominata dal generale Sani Abacha, uno dei dittatori più spietati e corrotti del mondo, morto in circostanze mai chiarite nel 1998. I magistrati svizzeri gli hanno sequestrato ben 700 milioni di dollari occultati a Ginevra, mentre il Congresso americano lo accusa di aver dirottato all’estero addirittura 3 miliardi e mezzo. Caduto il dittatore, le tangenti vengono puntualmente rinegoziate dagli emissari dei due successivi governi. I lavori di Bonny Island durano un decennio. Il sesto e ultimo mega-impianto è stato inaugurato nel 2006. Lo scandalo della corruzione è stato scoperchiato da un’inchiesta, in corso da quattro anni, che è frutto della collaborazione tra Francia, Svizzera, Stati Uniti, Gran Bretagna e Italia. I primi a muoversi sono i giudici istruttori di Parigi, che negli archivi della Elf scoprono uno strano quadernino: è una specie di libro mastro delle mazzette, dove compaiono anche annotazioni su pagamenti per Bonny Island, con riferimenti al consorzio e alla Technip. Su richiesta francese, la Svizzera sequestra i primi conti bancari, mentre tra Inghilterra e Stati Uniti scattano indagini e perquisizioni che nel 2004 portano Stanley alle dimissioni. Gli inquirenti americani precisano, nell’atto di patteggiamento, che “Stanley ha cospirato e si è associato con le altre aziende socie del consorzio per corrompere gli ufficiali nigeriani allo scopo di ottenere gli appalti per il gas liquefatto da oltre 6 miliardi di dollari”. Le riunioni per concordare il giro di tangenti venivano presentate, nelle carte interne della Halliburton, come “incontri culturali”.

I fondi neri uscivano dalle casse della società-paravento di Madeira, definita “la macchina della corruzione”. Era questa creatura off-shore, “di proprietà del consorzio Tskj”, a pagare “finte consulenze” a due imprese di intermedizione: la Tri-star di Gibilterra, controllata da un avvocato d’affari inglese, e una ditta giapponese di pubbliche relazioni. La prima ha smistato i 132 milioni di dollari destinati ai big del governo nigeriano, la seconda ha pagato con altri 50 i burocrati di serie B.

Nelle carte americane si legge che già due anni fa la procura texana ha chiesto e ottenuto la collaborazione dei pm milanesi per interrogare i rappresentanti della Snamprogetti. I dirigenti italiani allora si erano difesi sostenendo che erano gli altri soci del consorzio, in particolare gli americani della Kbr, a gestire tutti i rapporti con il governo nigeriano. I pm milanesi hanno aperto subito un’inchiesta per corruzione internazionale, come emerge solo ora, per verificare se davvero la controllata dell’Eni era all’oscuro dei pagamenti illeciti. L’esperienza di Tangentopoli fa pensare il contrario: se è un consorzio a pagare per un appalto, la tangente va finanziata da tutti i soci, in proporzione ai benefici.

Toccherà ai magistrati stabilire se questa regola della corruzione italiana sia stata applicata anche per il gas nigeriano: a guidare l’inchiesta sono i pm Francesco Greco e Fabio De Pasquale. Di certo nell’accordo di patteggiamento firmato a Houston il ‘pentito’ della Kbr-Halliburton “si dichiara colpevole perché è colpevole” di un’accusa così formulata: “Stanley si è accordato con le altre tre società del consorzio Tskj allo scopo di corrompere il governo nigeriano”.

Il manager texano e “altri rappresentanti del comitato direttivo”, sempre secondo i documenti americani, hanno dato “l’autorizzazione a usare i contratti di consulenza come canali per la corruzione”. E ancora: “Tutti i ricavi, i profitti e le spese, inclusi i costi delle consulenze, sono stati divisi in parti uguali tra le quattro società del consorzio”. Gli atti d’accusa specificano che, in cambio dei 182 milioni di dollari, la due società-paravento, quella di Gibilterra e la sua gemellina giapponese, hanno dichiarato di offrire “servizi vagamente descritti come di marketing e consulenza, quando in realtà lo scopo era di facilitare il pagamento delle tangenti ai governanti nigeriani”. Le società-paravento, insiste l’accusa, “agivano per conto del consorzio e di ciascuna delle aziende partecipanti”. Il ‘pentito’ della Halliburton si è impegnato anche a “testimoniare davanti a giudici stranieri su tutti i reati di sua conoscenza”.

Il gruppo Eni, interpellato martedì da ‘L’espresso’, ha precisato di aver offerto una “collaborazione volontaria” alle indagini internazionali fin “dal giugno 2004”, in particolare fornendo “documenti e informazioni agli inquirenti americani della Sec”. La Snamprogetti inoltre ha avviato controlli “attraverso consulenti esterni” e ha “collaborato alle indagini” anche “con la consegna dei documenti interni” sul maxi-appalto.Era stata la stessa Halliburton, nel 2004, a comunicare agli altri soci la scoperta dei primi “atti da cui risulta che il consorzio ha preso in considerazione l’ipotesi di corrompere” i nigeriani. Ora Stanley ha confermato che le tangenti furono effettivamente pagate fino a giugno di quell’anno. Il manager ha aggiunto di aver personalmente intascato 10,8 milioni di dollari, ricavati da altre finte consulenze e occultati in tre conti schermati al Crédit Suisse di Zurigo. Un tesoretto personale che Stanley si è impegnato a restituire in cambio della promessa di una condanna che per gli standard americani è mite: “Fino a sette anni di reclusione”.
(09 ottobre 2008) di Paolo Biondani e Stefania Maurizi.
Finalmente la grande stampa italiana pubblica un approfondimento su come le nostre “responsabili” multinazionali del petrolio operino nei paesi africani. Ci sono alcune imprecisioni ( Il MEND è nato a Dicembre 2005-gennaio 2006, quindi non “combatte da oltre dieci anni”), che non cambiano la portate enorme della vicenda.

2 commenti a “Nigeria – Oro nero e fondi neri.”

nicolò scrive:

Fondi neri e oro nero son due termini che van perfettamente d’accordo.

Se poi come ingrediente c’aggiungi l’eminenza grigia (SISMI) direi che il tutto è semplicemente perfetto…

william scrive:

ENI, “codice etico” e Servizi Segreti

Indiscrezione tratta dal portale Indymedia al link:

http://piemonte.indymedia.org/article/5520

In una surreale seduta Straordinaria del Consiglio di Amministrazione dell’E.N.I. (che trovate trascritta ed in originale) evocato il nome d’un fantomatico giornalista (Altana Pietro) e dei nostri Servizi Segreti Italiani

Stà scritto lì, nero su bianco, nel verbale del C.d.A. dell’E.N.I.:

“… l’11 giugno 2004 Abb denuncia alcuni manager dalla sua filiale milanese di occultamento di perdite di 70 milioni di euro e rassegna al PM Francesco Greco due nomi di propri dipendenti, tali Carlo Parmeggiani e Piarantonio Prior, che sarebbero coinvolti anche anche in una tangente al manager di Enipower Larenzino Marzocchi.Mi chiedo per quanti anni ancora sarebbe andata avanti tale forma e genere di crimine se non ci fosse stata nel marzo 2004 l’indagine del professionista della stampa Altana Pietro (fonte ritenuta vicina ai Servizi Segreti) che ha fatto indagini su Enichem, Enipower, ABB; se non ci fosse stata la denuncia al Magistrato da parte di Abb, mi chiedo come possa essere motivato una tale procrastinazione di delittuoso comportamento, per altro verso una pluralità di commissionari, senza che, in più anni e sistemi di controllo aziendali interni siano riusciti ad intercettare alcunché…”.

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